Come evitare quiet quitting e boreout con il giusto stress

Come prevenire quiet quitting e boreout con il giusto livello di stress

Il benessere organizzativo non nasce dall’assenza di stress, ma da un equilibrio dinamico. A partire dal periodo pandemico, il mondo del lavoro ha affrontato sfide inedite legate a una profonda trasformazione dei modelli organizzativi. Ad esempio, il passaggio al lavoro da remoto ha richiesto un adattamento rapido sia da parte dei dipendenti che dei datori di lavoro, mettendo alla prova la capacità di mantenere un equilibrio tra vita privata e professionale.

Che cos’è il quiet quitting?

Il quiet quitting è una scelta difensiva, spesso lucida e deliberata, di fare solo il minimo indispensabile al lavoro. Questa strategia ha effetti negativi sulla performance aziendale e sull’atmosfera del team. Un esempio pratico può essere un dipendente che, sentendosi sottovalutato, decide di non partecipare più a riunioni extra o di non offrire più idee innovative durante i brainstorming. Questo comportamento può diffondersi rapidamente all’interno di un team, creando un clima di disimpegno generale.

Che cos’è il boreout?

Il boreout si configura come una condizione di apatia e insoddisfazione dovuta alla ripetitività eccessiva delle mansioni. Può portare a comportamenti disfunzionali e, nei casi peggiori, ad ansia e sintomi depressivi. Un caso d’uso reale è quello di un impiegato amministrativo che svolge le stesse attività quotidiane senza alcuna variazione o sfida, portando a una progressiva perdita di interesse e motivazione.

Le differenze tra quiet quitting e boreout

Il boreout è vissuto con confusione o senso di colpa, mentre il quiet quitting è una difesa contro un contesto ritenuto incoerente o tossico. Ad esempio, un dipendente che sperimenta boreout potrebbe sentirsi in colpa per non essere produttivo come vorrebbe, mentre uno che pratica il quiet quitting potrebbe farlo come risposta a un ambiente di lavoro percepito come ingiusto o non riconoscente.

Esiste una quantità di “stress ottimale” gestibile nelle organizzazioni? Lo stress non è solo una risposta negativa da evitare, ma esiste un livello di attivazione psicofisiologica che aiuta a costruire l’interesse per l’attività che stiamo svolgendo. Secondo lo psicologo Hans Selye, padre della ricerca sullo stress, esiste una distinzione fondamentale tra eustress (stress positivo) e distress (stress negativo). L’eustress può motivare i dipendenti a raggiungere obiettivi sfidanti ma raggiungibili, migliorando la performance e la soddisfazione lavorativa.

Promuovere l’eustress significa offrire obiettivi chiari ma raggiungibili, compiti che valorizzino le competenze, momenti di confronto e feedback costruttivi. Un’organizzazione che sa coltivare eustress è un ambiente in cui si lavora con impegno ma anche con piacere. Ad esempio, un progetto che richiede l’uso di competenze avanzate ma che è ben strutturato e supportato può generare eustress, aumentando l’engagement e la produttività.

Il delicato equilibrio tra sfida e supporto è essenziale per promuovere un benessere lavorativo duraturo. Le aziende devono adottare strategie preventive che pongano l’attenzione non solo agli eccessi di stress, ma anche alla sua carenza. Programmi di formazione sulla gestione dello stress, sessioni di coaching individuale e l’adozione di politiche flessibili possono contribuire a mantenere questo equilibrio.

Il coinvolgimento dei dipendenti passa anche dalla possibilità di partecipare attivamente ai processi decisionali e di proporre soluzioni innovative. Occorre monitorare attentamente i segnali di scarso interesse o coinvolgimento. Un approccio proattivo potrebbe includere sondaggi periodici sul benessere dei dipendenti e l’istituzione di comitati per il miglioramento del clima lavorativo.

📖 Fonte e approfondimenti: Questo articolo è basato su contenuti di settore specializzati. Per consultare la fonte originale e ulteriori dettagli tecnici, puoi visitare: l’articolo di riferimento su PuntoSicuro

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