Il microclima in cucina

Per continuare la nostra rubrica sui rischi di tipo fisico sul lavoro, cominciata la settimana scorsa con un articolo sul rischio da taglio, oggi parleremo un po’ di microclima in cucina. Questo fattore è spesso il più sottovalutato quando si parla di sicurezza sul lavoro, complice una certa difficoltà nell’adeguare alcuni spazi lavorativi alla normativa vigente e, forse, una radicata convinzione che “tanto il lavoro funziona così“. Tuttavia, il microclima negli spazi di lavoro è molto importante per la salute fisica e mentale dei dipendenti. Con i giusti accorgimenti, poi, è possibile arginare in modo efficace il problema e rispettare tutte le norme.

In questo articolo, quindi, vedremo cosa dicono le normative attuali sul microclima in cucina e come arginare questo rischio.

Cos’è il microclima

Si definisce microclima “il clima di un ambiente che raccoglie l’attività di vita o di lavoro di una o più persone“. Questo clima è basato su una serie di fattori, che includono la temperatura dell’ambiente, la qualità e il ricambio dell’aria, nonché i rumori a cui sono esposte le persone. Si tratta di un fattore che può cambiare notevolmente da posto a posto (anche all’interno della stessa azienda) e da persona a persona. Basti pensare alla differenza che c’è fra la cucina e la sala di un ristorante. Per questo motivo, va valutato per ogni singolo individuo o gruppi di individui.

Sebbene non sia sempre tenuto in considerazione, il microclima ha un forte impatto sia in materia di igiene del lavoro, sia di rischi fisici. Questo perché le persone possono svolgere normalmente un’attività lavorativa solo se viene garantita l’omeotermia (ovvero, il mantenimento dell’equilibrio termico). Se questo elemento è assente, l’organismo umano è costretto ad uno sforzo maggiore per mantere l’equilibrio termico, il che può portare ad una serie di conseguenze fisiche e psicologiche. Inoltre, l’esposizione ad aria stagnante o troppo veloce per un tempo prolungato può causare gravi danni alla salute.

Le conseguenze di un cattivo microclima e dello stress termico

Essere esposti per troppo tempo a temperature non adeguata o a correnti d’aria dirette può essere causa di stress termico, che può avere ripercussioni sull’apparato respiratorio, sul muscolo scheletrico, sull apparato gastro intestinale, fino ad arrivare in casi estremi a colpi di calore o di freddo, con conseguenze anche gravi sull’intero organismo. Inoltre, un’inadeguata manutenzione degli impianti di condizionamento o dei dei filtri dell’aria, può far proliferare diversi batteri negli impianti, soprattutto livelli di umidità elevati. Questo può portare a danni di tipo biologico, ad esempio causando una contaminazione da legionella.

Come puoi capire, queste sono tutte situazioni da scongiurare assolutamente. Ma come si fa?

Come favorire un microclima salutare in cucina

Come avrai capito, bisogna valutare molti elementi per favorire lo sviluppo di un microclima salutare anche nella più piccola cucina. Dal punto di vista normativo, non è possibile dare delle linee guida precise e standardizzate, che possano essere applicate in ogni situazione, perché i possibili ambienti lavorativi e le attività che si possono eseguire in essi sono troppo eterogenei. Sarà compito del datore di lavoro identificare i fattori che vedremo fra poco all’interno della valutazione dei rischi e impegnarsi a garantire dove possibile una buona prevenzione dei rischi legati al microclima, usando tutte le misure tecniche, organizzative e procedurali a sua disposizione.

I fattori che qualificano il microclima di qualsiasi ambiente lavorativo sono:

  • la temperatura, misurata in gradi centigradi;
  • la percentuale di umidità relativa “UR” (ovvero, la quantità di vapore acqueo presente nell’ambiente);
  • l’irraggiamento termico (il calore trasmesso tramite onde elettromagnetiche da oggetti luminosi o altri corpi);
  •  la velocità dell’aria (che favorisce il raffreddamento del corpo).

Leggi anche → Indici di valutazione per gli ambienti moderati (INAIL)

Piastre, friggitrici, e anche determinati tipi di illuminazione sono fonte di irraggiamento termico. Foto di congerdesign da Pixabay

Il microclima ideale in una cucina

Per valutare la temperatura di un determinato locale, si valutano i cosiddetti ambienti termici. Questi ambienti possono essere “moderati” (e in questo caso non comportano il rischio di stress termico), oppure “severi caldi” o “severi freddi”. Nel secondo caso, possono verificarsi situazioni in gradi di compromettere la salute dei lavoratori, in quanto possono verificarsi degli scambi termici importanti fra le persone e l’ambiente circostante.

Per quanto riguarda gli ambienti termici moderati, la norma principale di riferimento è la UNI EN ISO 7730:2006 (“Ergonomia degli ambienti termici – Determinazione analitica e interpretazione del benessere termico mediante il calcolo degli indici Pmv e Ppd e dei criteri di benessere termico locale”). Secondo questa norma, un ambiente termico moderato dovrebbe avere dei valori all’interno di questo range:

  • temperatura dell’aria (ta) tra 10 e 30 °C;
  • temperatura media radiante (tr) tra 10 e 40 °C;
  • umidità relativa (ur) tra 30 e 70 %;
  • velocità dell’aria (va) tra 0 e 1 m/s.

Questi parametri non vanno valutati singolarmente, ma in relazione l’uno con l’altro. Per esempio, si potrebbe misurare una temperatura di 25° e una percentuale di umidità relativa pari a 80%, e pensare di aver almeno “fatto centro” con la temperatura. In realtà, non è così. La temperatura, infatti, va misurata dopo aver appurato che la percentuale UR rientra nella norma. In caso contrario, il risultato potrebbe non essere valido. Anche la velocità dell’aria non è un fattore indipendente. I suoi limiti di accettabilità variano notevolmente in base alla temperatura dell’aria stessa alla sua umidità e alle condizioni relative dei lavoratori. Sebbene sia difficile definire una parametro standard, generalmente si ritiene che una velocità nell’ambiente di 0,15 m/s sia accettabile, per quanto la norma ammetta un intervallo di valori più ampio.

Fin qui sembra tutto chiaro. Non fosse per un piccolo dettaglio: la tipica zona cottura di una cucina presenta caratteristiche intermedie fra gli ambienti termici moderati e severo caldi. A questo, poi, si aggiunge il fatto che la zona depositi potrebbe spesso classificarsi come severo fredda, se ci sono celle frigorifere. La varietà di queste situazioni, concentrate in spazi non troppo grandi, è esattamente il motivo per cui è impossibile dettare delle linee guida semplici e generali. Di nuovo, bisogna valutare caso per caso e, se non è possibile evitare lo sbalzo termico attraverso impianti o un abbigliamento adatto al microclima del luogo di lavoro, bisognerà intervenire sull’organizzazione del lavoro in modo da migliorare il più possibile le condizioni dei lavoratori.

Una delle situazioni più comuni in cui si sviluppa un ambiente termico severo caldo, che peggiora considerevolmente durante l’estate: il forno di una pizzeria. Foto di tcameliastoian da Pixabay

Le norme per gli ambienti termici severi caldi e severi freddi

Negli ambienti severi caldi, il sistema di termoregolazione del nostro organismo interviene per diminuire l’accumulo di calore nel corpo. Questo si traduce in vasodilatazione dei vasi sanguigni cutanei e sudorazione. Per questi ambienti, le norme tecniche di riferimento sono la norma UNI EN ISO 7243:2017 e la norma UNI EN ISO 7933:2005, che propongono due metodologie per la valutazione dello stress microclimatico derivante da ambienti severi caldi. La prima propone una metodologia più semplice rispetto all’altra: in sostanza, si misurano tre tipologie di temperatura per poi calcolare un indice (WBGT). Questo consentirà di capire se le condizioni microclimatiche sono accettabili o se serve un’analisi più approfondita. Nel secondo caso, la norma stessa rimanda alla strategia più complessa contemplata dalla norma UNI EN ISO 7933, che basa la sua valutazione in base ad altri indici ottenuti utilizzando il PHS (Predicted Heat Strain).

Negli ambienti severi freddi, il sistema di termoregolazione umano interviene in modo opposto a quello descritto nel paragrafo precedente, portando alla vasocostrizione dei capillari cutanei e alla produzione di calore per via metabolica (brividi e orripilazione). Per questi ambienti, le norme tecniche di riferimento sono la norma UNI EN ISO 15743:2008 e la norma UNI EN ISO 11079:2008. La seconda propone una un metodo di valutazione dello stress microclimatico causato dagli ambienti severi freddi. In modo analogo alle norme dello scorso paragrafo, questo metodo propone di calcolare un altro indice (IREQ) in base ad alcuni parametri microclimatici. Anche questo indice servirà a stabilire l’accettabilità delle condizioni in cui si trova l’ambiente analizzato.

Lo sappiamo, quest’ultimo paragrafo sa un po’ di latinorum, ma non preoccuparti. Non è sempre facile spiegare le norme relative alla sicurezza sul lavoro ma, alla fin fine, tutto il settore si può ridurre ad una semplice domanda: “Come posso garantire che i miei dipendenti stiano bene?”. Se saprai circondarti di collaboratori competenti per effettuare la valutazione dei rischi e organizzare di conseguenza gli spazi di lavoro e le mansioni dei lavoratori, rispondere a questa domanda sarà molto più facile di quello che pensi.

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